L’economia sostenibile nel mondo del lavoro
La sostenibilità di ogni processo aziendale è diventata in questo terzo millennio un valore dal quale nessuna azienda, se vuole avere successo sul mercato, può derogare. Non si tratta soltanto di un obbligo stabilito da precise normative europee per tutte le grandi aziende e, più di recente, anche per tutte quelle quotate in borsa, di interesse pubblico e con più di 500 dipendenti.
Per uno sviluppo sostenibile
È anche uno strumento che serve ad accrescere il profitto, perché le aziende che mostrino una concreta sensibilità verso le tematiche sociali ed ambientali ed un comportamento etico vengono oggi viste con un occhio di favore dai consumatori e dal mercato nel suo complesso.
Gli acquirenti sono infatti maturati nella consapevolezza, cercano uno sviluppo sostenibile e prodotti che derivano da attività responsabili e trasparenti, mentre dall’altra parte del mercato ci sono gli enti, le amministrazioni locali, i fornitori, tutte realtà che possono favorire un’impresa piuttosto che un’altra basandosi sul rispettivo grado di attenzione sociale; senza tralasciare gli investitori, altro fondamentale volano di crescita per l’imprenditoria e forse proprio i più accorti nel valutare i fattori di rischio quando devono decidere dove orientare i propri capitali.
I Bilanci di sostenibilità
L’obbligo imposto dalla Comunità Europea e tutti i preziosi fattori appena esposti hanno portato all’aumento, sia nel numero che nella loro articolata composizione, dei cosiddetti Bilanci di Sostenibilità o Bilanci Sociali.
Sono documenti ufficiali che non esprimono più soltanto freddi numeri finanziari, ma contengono anche una rendicontazione qualitativa sulle attività interne ed esterne che un’azienda mette in atto per salvaguardare l’ambiente ma anche per tutelare la salute ed il benessere dei propri dipendenti.
Chi controlla l’eticità di un’azienda?
La loro redazione è affidata ad un Sustainability Manager, nuova figura professionale sempre più ricercata: non mentono, in questo senso, i dati relativi a nuovi corsi di studio o master di alta specializzazione inaugurati da prestigiose accademie quali la Bocconi o la Cattolica, volti a formare per l’appunto i Corporate Social Responsability manager del futuro.
Il loro compito essenziale è di monitorare il welfare interno e conoscere, e dove necessario aggiustare, l’impatto che l’azienda ha sul territorio e sull’ambiente.
Per farlo, un manager con tali mansioni ha bisogno di conoscenze molto specifiche e particolari doti di sensibilità, ecco perché dicevamo che i bilanci non sono più freddi ma esprimono anche valutazioni qualitative.
Ha però anche bisogno di documenti e certificazioni concrete, che può ottenere in attendibilità ed imparzialità solo affidandosi ad un audit esterno: entra così in gioco la trasversalità della sua mansione, che dai rapporti con i dipendenti attraversa le mura dell’azienda ed arriva all’esternalizzazione di alcuni servizi, ottenibili solo rivolgendosi a società di consulenza aziendale accreditate e per questo super partes.
Certificazioni ambientali accreditate
Le certificazioni sullo stato e sul livello delle emissioni nell’ambiente, sulle corrette procedure di smaltimento dei rifiuti – in special modo di quelli tossici o pericolosi – sono dei documenti delicatissimi producibili da società multiservizi che propongono consulenze molto composite ed articolate, in quanto si occupano tra le altre cose di sicurezza sul lavoro secondo i dettami del TULPS, di analisi ambientali e di test di laboratorio come i controlli non distruttivi, e di tutte le altre attività necessarie a mettere in regola i sistemi di gestione aziendale.
Il welfare aziendale
Quando il Sustainability Manager volge invece lo sguardo all’interno dell’azienda e sui suoi dipendenti o colleghi, i suoi compiti diventano se possibile ancora più onerosi in termini di responsabilità sociale: deve infatti sempre tenere il polso della situazione generale in termini di soddisfazione e di benessere dei lavoratori, non occupandosi soltanto quindi della mandatoria prevenzione degli infortuni ma anche di come e perché stiano cambiando le richieste e le istanze dei colleghi e di quale sia la qualità della loro vita.
Un lavoratore felice, che possa anche soddisfare le proprie aspirazioni culturali o di svago quando non è sul luogo di lavoro, è anche un lavoratore che fa il bene dell’azienda. Non si deve vedere in tali operazioni dei biechi sotterfugi per accrescere la produttività, anzi: si tratta proprio di una rinnovata filosofia di welfare che sta emergendo con prepotenza per offrire anche all’esterno un’immagine trasparente e virtuosa, senza effettuare “greenwashing”, ovvero la costruzione e diffusione di messaggi diversi dall’effettivo status quo.
I ritorni economici per un’azienda verde
La rilevante carica innovativa di questi bilanci sostenibili è evidente, ed è il principale strumento, in tempi come quelli attuali, per accrescere il vantaggio competitivo di un’azienda: le piccole e medie, che possono avere difficoltà legate alle limitate risorse economiche insufficienti per avallare tali iniziative, devono però considerare tutti i possibili ed innegabili ritorni economici di una innovazione del processo produttivo, di un maggiore controllo della filiera, del benessere interno: la responsabilità e la coscienza sono diventati delle bandiere che il mercato sta premiando, ed essere ecofriendly ha sempre un suo ritorno!
Bastano, a dimostrarlo, alcuni casi di studio su aziende che hanno concretamente ridotto gli imballaggi o li hanno convertiti in materiali più biodegradabili, o che si sono munite di impianti fotovoltaici per ridurre i consumi di energia elettrica ed anzi per produrla da sé senza inquinare, distribuendone anche il surplus nel circondario.
Sono solo degli esempi delle enormi opportunità di crescita per un’azienda che colori “di verde” le sue performance!